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L’adolescenza: conversazione coi medici di base


Tutti noi abbiamo vissuto la nostra adolescenza, anche piuttosto prolungata negli aspetti di dipendenza familiare a causa della laurea che  accomuna e che ha richiesto un corso di studi lungo ed impegnativo.
Un modo interessante di parlare dell’adolescenza potrebbe perciò consistere nel focalizzare la nostra attenzione su queste memorie, raccontandoci poi l’un l’altro un qualcosa che ci fa piacere ricordare in questo contesto e/o che riteniamo utile, in quanto generalizzabile e pertanto preziosa chiave di lettura di altre problematiche e situazioni.

In realtà ciò che noi facciamo nel quotidiano quando ascoltiamo ed interpretiamo le problematiche e le richieste dei nostri utenti è proprio questo, vale a dire utilizziamo le conoscenze acquisite nel corso della nostra esperienza personale oltre che professionale, “generalizzandole” ovvero “proiettandole” su chi ci sta di fronte. Nelle persone comuni tale processo è spesso inconsapevole e può, a seconda dei casi, essere più o meno utile, ma anche produrre  rilevanti errori di valutazione e di giudizio, infatti noi conosciamo solo ciò di cui abbiamo esperienza e fra noi solo un numero limitato di persone, dotate di maggiore immaginazione, intuito e fantasia riescono a figurarsi un qualcosa di mai visto, ascoltato o toccato ed anche in quel caso l’immagine mentale difficilmente sarà sostanziata dallo spessore emotivo che comporta l’esperienza vissuta.
Perché la posizione di ascolto del medico sia diversa e professionale è quanto meno necessario fondarsi su di un accurato esame introspettivo, quale utile strumento di discernimento e discriminazione, necessario a “tarare” le nostre valutazioni e le nostre risposte. Non mi aspetto, né voglio, che tutti diventino psichiatri, ma è un fatto che il medico di base è sempre il primo e spesso rimane l’unico interlocutore di molti pazienti che soffrono di problematiche psichiche, ma non sono in grado di  riconoscerne la natura e nondimeno hanno bisogno di attenzione, contenimento e rassicurazioni frequenti.                                                        
 Abbastanza spesso  una considerazione comprensiva ma non collusiva, qualche placebo accompagnato da un ascolto empatico ed una sufficiente attenzione, vale a dire uno spazio ed un tempo dedicati, che conferiscano dignità e valore alla persona, così che essa si senta “qualcuno” e qualcuno che può essere stimato e  compreso, non solo possono risultare sufficienti, ma perfino più efficaci di altri trattamenti.         
 Qui nasce un primo  nodo problematico: capire quando questo è ciò che può bastare, a prescindere dalla nostra capacità di “reggerlo” o meno.
La nostra valutazione, infatti, oltre che dalle nostre passate esperienze, sarà soprattutto condizionata da ciò che attualmente è il nostro ruolo sociale e familiare.        
 Un buon padre di famiglia che abbia affrontato con successo le crisi adolescenziali non solo proprie, ma anche dei propri figli potrebbe essere portato, se non alla superficialità, alla sottovalutazione di alcune situazioni, immaginando che tutto sia destinato a risolversi e ad essere superato: è utile che teniate, quanto meno, presente il fatto che non tutti gli adolescenti hanno la possibilità di poter contare su genitori con le vostre risorse culturali ed umane, non tutti hanno avuto l’opportunità di introiettare una chiara normativa etica radicando le fondamenta della propria identità e della propria sicurezza in modelli familiari e relazionali validi, positivi, etc., anzi per alcuni tra questi giovani la “differenza” potrebbe  essere drammatica.
Come dicevo non tutti possono fare gli psichiatri, talvolta, infatti,  può essere meno facile di quanto sembri: una parte importante della conoscenza di noi stessi è rappresentata proprio dalla coscienza dei nostri limiti, tale conoscenza da sé può bastare a rispettare il noto imperativo: “primo: non nuocere!”.
Il ruolo del medico di base è fondamentale e per tutto quanto egli può riuscire a risolvere nel proprio ambulatorio, e per la sua capacità di riconoscere le situazioni che necessitano di interventi specifici, così da poter aiutare questi pazienti a superare i timori legati alla “designazione” ovvero etichettatura di ”disturbo psichico”: potremmo considerare il vissuto di designazione come l’effetto collaterale di un importante farmaco, lo somministriamo solo se necessario, ma quando serve non possiamo esitare.
L’adolescenza è una delle età più critiche della nostra esistenza: malgrado questo sia un luogo comune, non sempre ci fermiamo a riflettere sulle implicazioni di questo assunto. Giusto per alleggerirci farò qualche considerazione e qualche domanda a cui voi potrete rispondere a voce alta oppure anche mentalmente se lo preferite:

-          Dal punto di vista cognitivo il ragazzo acquisisce in questa fascia d’età la capacità di pensiero logico deduttivo e spesso si comporta con questi suoi nuovi spazi e strumenti mentali proprio come fanno i bambini con un giocattolo nuovo: ci gioca tanto e può esagerare, può arrivare a smontarlo ed infine anche a romperlo.       
                                                                                                                       
a)      Qualcuno tra voi ha mai peccato di idealismo o ha portato un ragionamento alle sue estreme conseguenze irrigidendosi in tale estremo?

b)       Qualcuno tra voi ha mai considerato poco importante la concretezza del quotidiano,  abbandonandosi alla meditazione contemplativa del proprio mondo di astrazioni ed avvilendosi per il non essere capito dai familiari affaccendati e preoccupati proprio di cose materiali? 

Benché tutto questo sembri ordinario, accade che la maggiore frequenza di esordio di episodi dissociativi e depressivi sia in adolescenza! Certamente non sarà stato il vostro caso, ma non avete forse corso qualche rischio?

-          Dal punto di vista affettivo c’è un’altra rivoluzione: il ragazzo ha la necessità di ribellarsi per sentirsi indipendente perché, in sintonia con le tendenze progressive della crescita, vuole diventare adulto. Fisiologicamente questa spinta è in contraddizione con alcune tendenze regressive generate da timori ed insicurezze da cui nessuno è immune, specie fra gli adolescenti, visto che è la  loro “prima volta”, nessuno di loro, infatti, ha mai fatto l’adulto prima!

c)       Qualcuno tra voi ha vissuto un conflitto generazionale intenso?
d)      Qualcuno tra voi ha considerato inopportune e soffocanti le preoccupazioni dei genitori?
e)      Qualcuno di voi ha sofferto il timore di non essere adeguato?
f)       Qualcuno si sentiva brutto?
g)      Qualcuno si è legato a persone o a  gruppi di riferimento esterni alla famiglia rispetto ai quali è rimasto conformista e dipendente, guadagnandosi così una indipendenza solo illusoria?
h)      Questo forse potrete dirmelo scrivendo un semplice numero su un bigliettino anonimo: a quale età ciascuno di voi oggi ritiene di essere realmente diventato adulto?

Quando le tendenze progressive sono troppo contrastate sul piano interiore da forti spinte regressive oppure stroncate sul piano di realtà da contesti troppo autoritari o iperprotettivi possono ovviamente nascere degli squilibri.
La situazione opposta di permissività eccessiva tale da non rimandare l’idea dell’esistenza di quei  nostri famosi “limiti” può essere anche più pericolosa:  la realtà della vita, infatti, pone i suoi limiti  in forme assai più dure e dolorose di quanto non facciano abitualmente i genitori e talvolta, purtroppo, con conseguenze irrimediabili.


-          Sul piano somatico avvengono grossi cambiamenti, caratterizzati dalla crescita fisica e dalla comparsa dei caratteri sessuali secondari: questo cambiamento esteriore richiede un riadattamento psichico e sociale, l’accettazione di una immagine di sé differente da quella già conosciuta e, più o meno,  accettata, aspettative sociali diverse, etc.

Gli aspetti sessuali della crescita in fase adolescenziale ne rappresentano la  connotazione fondamentale. Nella medicina tradizionale, come è leggibile anche nella denominazione delle nostre diverse branche specialistiche, siamo abituati a considerare separatamente il corpo e la mente, forse perché i primi studi di significato scientifico della nostra medicina nascono soprattutto come studi di anatomia patologica: lì la separazione è facile, la mente, infatti, è ciò che manca.   Fino a quando  siamo vivi, però, questa separazione è forzata ed artificiosa.
 Le modificazioni fisiche e neuroendocrine, “la tempesta ormonale”, incidono sui comportamenti, sui vissuti emozionali, sugli interessi e richiedono lo scompaginamento dei vecchi equilibri e lo sviluppo di una struttura adeguata.
A tutti noi sarà qualche volta arrivata in casa una nuova enciclopedia, una cosa che può occupare un bel po’ di spazio nei nostri scaffali: cosa succede? Dobbiamo risistemare tutto ed all’inizio faremo un bel po’ di disordine e confusione … dobbiamo decidere dove metterla  (se fosse una enciclopedia di cucina forse non ci piacerebbe averla nel nostro studio), magari  dovremo buttare via qualcosa per fare spazio e dovremo scegliere cosa buttare riesaminando ogni testo: se fossimo stati già prima un po’ disordinati  fra i nostri libri, questo disordine ora  potrebbe assumere le dimensioni bibliche del Caos, peggio ancora se scopriamo che l’opera non ci piace affatto, ne abbiamo vista una identica in casa di una persona che davvero ci ripugna!
Il riconoscimento e l’accettazione della propria identità sessuale, così come la possibilità di riorganizzarsi e riadattarsi funzionalmente dipendono da ciò che sono stati gli equilibri e le esperienze precedenti. Malgrado i modelli genitoriali siano spesso e ”fisiologicamente” contestati, un modello genitoriale vissuto come “inaccettabile” può rappresentare la base di vari disturbi sia relativi alla così detta “identità di genere” che alla condotta alimentare, etc..

La psicopatologia in adolescenza include tutte le varie e possibili forme di emarginazione e “devianza”,  nonché tutti i disturbi psicotici,  neurotici e di personalità, non mi sembra, pertanto, utile farne un elenco: potremo riprenderli dall’indice di qualsiasi manuale di psicopatologia, escludendo i disturbi legati alla menopausa e le sintomatologie involutive degli anziani. Tutto il resto è qualcosa che potremmo osservare in adolescenza. In questa sede può essere opportuno soffermarsi soltanto su qualcuno dei disturbi che tipicamente esordiscono in età adolescenziale e su alcune situazioni che possiamo considerare fattori di rischio o predisponenti allo sviluppo di una psicopatologia.
fattori di rischio e/o predisponenti sono, per lo più, condizioni ben conosciute dal medico di base, perché tutti abbiamo un medico di fiducia che, almeno qualche volta, avrà avuto anche occasione di conoscere la nostra casa ed i nostri familiari. Per nostra comodità e chiarezza classificheremo i fattori di rischio
1)      prevalentemente sociali,
2)       prevalentemente familiari,
3)      prevalentemente personali.
Vi prego di notare il “prevalentemente”con cui intendo riferirmi alla complessità ed alla polivalenza delle situazioni di realtà e vi prego di notare  il “personali” con cui intendo significare che né i genitori né la società sono creatori onnipotenti che impastano l’uomo col fango modellandolo “a propria immagine e somiglianza” dato che, invece, molte caratteristiche temperamentali e genetiche possono incidere sulla formazione dell’individuo: ad una persona di bell’aspetto sono riservate esperienze differenti da quelle che riguardano persone meno fortunate, una persona dotata di buona intelligenza sarà, a parità di altre condizioni, più capace di elaborare meccanismi di difesa adattivi e funzionali e via dicendo. Intendo anche dire che certi atteggiamenti un po’ persecutori di una qualche psichiatria, come l’idea di una “madre schizofrenogena” (interpretabile fin troppo facilmente come la fantasia misogina di un padre più preoccupato di scaricare responsabilità angoscianti piuttosto che di capirci qualcosa …) così come le teorie simmetriche di parte femminile (anche le donne sono arrivate a studiare psichiatria …) sono da considerare interessanti sul piano culturale perché possono contenere parti ed aspetti di analisi corrette, ma anche qui sarà necessario mettere ordine e stabilire cosa va conservato e cosa cestinato liberando nella nostra mente un po’ di spazio per ospitare idee nuove.

Il rischio sociale è presente nelle situazioni di deprivazione ambientale: si tratta di condizioni che inducono vissuti di inferiorità e rabbia a fronte dei quali, solitamente risulta non adeguata la normativa etica interiorizzata, per carenze educative. In tali situazioni i fisiologici meccanismi di difesa tendenti alla autoaffermazione ed alla appropriazione di spazi vitali possono, da un lato, seguire percorsi primitivi essenzialmente fondati sulla sopraffazione dell’altro, connotata da una aggressività “direttamente proporzionale” alla intensità della  rabbia e della sofferenza vissuta nella esperienza di deprivazione e/o dall’altro, invece, comportare un riadattamento ed un impoverimento proporzionale alla svalutazione oggettiva subita con eventuale ricerca di compenso in percorsi  e spazi di evasione di vario genere.             
 La deprivazione, come tale inoltre,  espone più facilmente ad esperienze potenzialmente traumatiche sul piano psichico, etc.

Il rischio familiare è presente laddove vi siano “disturbi delle relazioni familiari” tali da comportare incongruenze educative, modelli di identificazione inadeguati, trascuratezza, confusione di riferimenti e di messaggi, etc. Contrariamente a quanto si ritiene comunemente, la separazione familiare, pur rappresentando un elemento potenzialmente traumatico, non è di per sé necessariamente causa di disturbi: molto dipende da come si sono svolte le cose, dai fatti accaduti ed  in specie il reciproco screditamento delle figure parentali. Il fatto che un buon numero di consultazioni vengano richieste per i figli dei separati indica per lo più o l’insicurezza del genitore unico che ha bisogno di confronto e convalide perché non regge il carico di responsabilità oppure la necessità di documenti da usarsi legalmente (frequenti qui  sono le manipolazioni), naturalmente in molti casi sono presenti  disturbi di tipo reattivo ed, in alcuni casi,  veri e propri disturbi post traumatici. Lo screditamento e/o la conflittualità tra le figure genitoriali può comportare in adolescenza conflittualità verso le figure investite d’autorità in genere, sfiducia negli adulti, modalità di relazione conflittuali, nonché autosvalutazione, incertezza nei riferimenti, etc.

Il rischio che ho chiamato personale è legato alle caratteristiche temperamentali della persona, alle capacità critiche sviluppate,e, naturalmente alla interazione, ovvero il continuo rimbalzo  di reciproche risposte tra questi aspetti e le condizioni ambientali in cui l’individuo si trova immerso.

Cosa fare? Disporsi all’ascolto con tranquilla umiltà, evitare la lettura di situazioni che conosciamo poco attraverso l’utilizzo di stereotipi ed in particolare evitare la designazione pregiudiziale dell’adolescente: molto può dipendere dalle risposte, dalla capacità del contesto e delle persone che circondano il ragazzo. Adulto purtroppo non è sinonimo di equilibrato … L’adolescente è sicuramente una persona più fragile e vulnerabile dell’adulto, meno esperta, meno critica, etc.  ma non sempre ciò significa che sia lui/lei a stare sbagliando, non solo, ma se sta sbagliando si tratta di qualcosa che può avere imparato da qualcuno tra coloro che gli sono vicini …
Se un ragazzo è francamente psicotico, confuso, depresso, aggressivo la cosa è evidente. I sintomi sono elencati nei manuali, ma quando non è così, è utile rinviare la persona ad un trattamento o quanto meno ad una osservazione specialistica laddove si ravvisi la carenza di risorse umane e di relazione nel suo ambiente di vita abituale perché anche un granello può diventare una valanga se scivola giù da un pendio di neve fresca. La consultazione specialistica è d’obbligo se vi rendete conto che il giovane richiede più spazio e contenimento di quanto sia possibile offrirne nel vostro ambulatorio, se vi accorgete di una strana confusione di idee o della presenza di una ideazione dominante, se manca la capacità di fare amicizie e conservarle, se c’è isolamento, mancanza di interessi ed iniziativa, se c’è una conflittualità troppo intensa e/o tendenza all’autolesionismo, se vi sono funzioni importanti compromesse.
Non credo di aver detto tutto e ciò che ho detto non basterà a proteggervi dal rischio di sottovalutare una situazione potenzialmente grave, ma spero di avervi almeno fornito qualche strumento che possa rivelarsi utile!

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