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Recensione de "Il pesce viola"


Leggo molto quando sono in vacanza: non so se sono io che mangio i libri o piuttosto mi lascio ingoiare da loro trasferendomi anima e corpo nella storia narrata. Al mare vado al ritmo di un libro ogni due o tre giorni, invece durante l’inverno leggo più niente che poco: ho l’impressione di essere presa da troppe faccende ed impegni (ma sarà vero?).
Ho fatto una eccezione questa volta perché mi hanno proposto di presentarne uno (di libro), edito di recente da una scrittrice della mia città: mi dicono che tratta di un caso di autismo infantile e mi lasciano il libro.

Mi fa piacere pensare che qui si muove qualcosa a livello culturale, anche se ci troviamo in una cittadina di provincia e così accetto e leggo: 279 pagine, appena un paio di serate nel mio stile divoratore. Mi sento incuriosita e stimolata dalla considerazione che  l’autrice è una insegnante, vale a dire  una persona che senza conoscere nulla di autismo, s’è trovata a convivere quotidianamente con un bambino affetto da questo disturbo (al contrario di me che l’ho studiato a lungo prima di vederne qualcuno e senza mai avere l’occasione di condividerne la quotidianità) e  quindi  può presentare osservazioni, vissuti ed interpretazioni inaspettate, insolite e forse tali da arricchire la mia conoscenza del problema.

Mi sono subito resa conto del fatto che non si tratta di un saggio, ma di un romanzo dove ciò che è più accuratamente descritto non è tanto il bambino “malato” sul quale solo occasionalmente viene squarciato il velo per metterne a fuoco alcune condotte, quanto piuttosto tutte quelle che chiamerò “le proiezioni” della maestra sul bambino, vale a dire tutto quello che l’insegnante fantastica , desidera o teme ed attribuisce al suo piccolo alunno. Di certo non è un manuale di istruzioni, ma è abbastanza evidente che non ha alcuna pretesa in tal senso.

Questo gioco di proiezioni, ovvero investimenti ed attribuzioni affettive e fantastiche sull’altro è ciò che spesso accade nei rapporti profondi: tipicamente nell’innamoramento ed anche, in parte, nella genitorialità. La posizione professionale dovrebbe comportare una maggiore consapevolezza di ciò che sta succedendo qui ed ora, ma la maestra Maddalena, la protagonista, appare così coinvolta da sembrare in alcuni momenti più esaltata che consapevole e tuttavia il rapporto col bambino l’avvince profondamente.

Questa considerazione mi ha richiamato alla mente una affermazione di grande spessore umano, quanto sottilmente provocatoria dello psichiatra R. Laing: “solo l’amore guarisce”   … non tanto la scienza, dunque, quanto l’amore! Sull’onda di queste riflessioni ho quindi rivalutato la descrizione dell’esperienza ed ho riflettuto sull’intreccio di metafore che gravitano attorno al rapporto tra l’insegnante ed il bambino focalizzando il parallelismo che la protagonista percepisce fra la propria vita,  le proprie scelte e quelle del piccolo Dino.

Emergono a questo punto alcuni concetti chiave utili da elencare, che per la protagonista rappresentano le “chiavi di lettura” prima vissute e poi utilizzate per darsi una spiegazione e quindi rispondere efficacemente ai comportamenti del bambino. Parole chiave sono: “libertà assoluta”,  “fuga”,  “diversità” , “fare finta” ed infine  “ritorno”. Ciascuno di questi pensieri e/o sensazioni presenti nell’animo di Maddalena rispecchia un proprio vissuto relativo ad un particolare momento di ripensamento della propria vita ed al contempo viene trasferito sul piccolo Dino per interpretarne la condotta. 

Maddalena infatti desidera intimamente di liberarsi dai ruoli preconfezionati ai quali ha aderito con obbedienza nel corso della sua vita precedente e ricerca un proprio spazio di espressione personale al di là dei condizionamenti sociali e familiari. Tenta così di ritagliarsi questo spazio attraverso la propria attività professionale, di fatto è una fuga: un traghetto che parte ogni mattina presto e la allontana dai ruoli di moglie e madre, tenendola fisicamente distante fino a sera inoltrata. È una fuga giustificata ed autolimitata, essendo l’alibi del lavoro qualcosa di socialmente accettabile, una fuga che non rompe e non preclude la via del ritorno, e tuttavia resta una fuga che viene agita in un momento particolarmente delicato e vincolante della sua vita, essendo lei divenuta madre da poco! 

In questo momento  della sua vita Maddalena è affascinata da tutto ciò che è diverso, sconosciuto e contro le regole, tutto ciò che non è scontato e normale, ma denso di misteri. Dino le piace perché vede in lui la ribellione ed il pervicace perseguimento di un suo vago ideale di libertà assoluta: qui bisogna aggiungere che, sebbene Maddalena attribuisca a Dino ciò che effettivamente è una propria ricerca di identità, il volo mentale verso l’ assoluto potrebbe  contenere una intuizione di ciò che è la condizione autistica come tale. L’esistenza individuale,  infatti, è tale grazie ai confini spazio temporali che la definiscono e la limitano (lo spazio fisico occupato dal corpo, il tempo compreso tra l’inizio e la fine …) in assenza di tali confini non esiste l’individuo, ma il cosmo, come il non essere nati o l’essere già morti. Ora è riconosciuto che l’autismo compare quando per qualche motivo non si riesce a completare la fase cosiddetta di separazione – individuazione, quando cioè il bambino è talmente confuso da non riuscire a strutturare lo spazio dell’”io”, né a riconoscere l’altro nella sua interezza: su di un piano soggettivo, forse,è come l’essere mescolati e fusi nel tutto e di fatto non esserci, appunto.

L’insegnante ed il bambino si trovano su due livelli di strutturazione personale ben diversi: Dino ha il problema di esistere, essere in un proprio spazio interno, Maddalena invece di riconoscersi in una oggettivazione di sé che sembra calzarle scomoda come un abito cucito per qualcun altro, il primo è un problema di individuazione, il secondo una crisi di identità e tuttavia l’intuizione che si genera in questo incontro stabilisce una sintonia profonda sulla quale germogliano i primi contatti tra i due.

La storia è vissuta e descritta come una sorta di fuga romantica ed avventurosa che incontra il fascino della diversità nelle sue varie forme: Irina, la compagna di viaggio sul traghetto, la donna straniera che giunge da un luogo lontano, con un passato fitto di inconfessabili segreti e che immediatamente tocca le corde che nell’animo di Maddalena vibrano del più sincero ed indimenticabile degli affetti, rappresenta una materializzazione, un’altra metafora, di ciò che più attrae la maestra, “il lato oscuro della luna” se così si può dire. 

Nel suo gioco di proiezioni la maestra subisce spesso la suggestione che Dino “finga” che in realtà possa andare ben oltre con la sua mente rispetto alle ideazioni puerili dei compagni, ma ciò che conta è che continua a credere e ad amare il bambino e non demorde. Pian piano il piccolo comincia a stabilire rapporti, a comunicare con l’insegnante, i compagni, i familiari, realizza i primi apprendimenti ed agisce il suo”ritorno” in classe ed alla realtà, allo stesso tempo Maddalena torna alla sua vita, aprendo gli occhi su quanto accaduto e rovinato durante la sua assenza virtuale.
È probabile che il testo contenga solo in parte esperienze di tipo autobiografico ed in parte sia il frutto della viva immaginazione artistica dell’autrice. È una lettura semplice, scorrevole e capace di catturare l’attenzione, in fondo un ricordo carico d’affetto.

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