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δ ι α γ ν ο σ ι ς: attraverso la conoscenza



E certo: “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”
Cos’è dunque la diagnosi? Una forma di conoscenza che deve poter essere comunicata e condivisibile (come ogni forma di conoscenza). In medicina, ma non soltanto, la diagnosi deve essere rappresentata da una formulazione breve, il più possibile concisa e capace di fornire il maggior numero di informazioni possibili sulla situazione valutata.
Nell’anti psichiatria (quel movimento culturale che ha condotto alla chiusura dei manicomi, per intenderci) la diagnosi è stata considerata una “etichettatura” e pertanto qualcosa di negativo che non solo poteva designare, ma condannare una persona per il resto della sua vita. Probabilmente questa cosa è stata anche tristemente vera per molte persone, ma per altri versi mi fa pensare a quel romanzo “i sequestrati di Altona”, quelli che avevano paura delle parole.
Le parole hanno certo una loro concretezza ed una loro realtà, un peso che grava sui piatti della bilancia e può condizionare il percorso degli eventi, tuttavia un cancro è un cancro e ciò che è bello è che oggi molte forme di cancro possono essere curate e guarire.
In medicina esistono diversi livelli di diagnosi  sia in rapporto al livello di conoscenza acquisito rispetto al singolo caso che rispetto a quello relativo a determinate patologie nella scienza medica.
Il primo livello diagnostico quello che è praticamente possibile formulare sempre in base all’esame clinico è la “diagnosi sindromico descrittiva” questo tipo di diagnosi è limitata alla descrizione del quadro clinico ed è praticamente un estratto dell’esame obiettivo. Rientrano in questo tipo di diagnosi la semplice enumerazione dei sintomi e segni salienti, ad esempio“ritardo psicomotorio”, “ritardo mentale”, “disturbo della comunicazione” e così via. La cosa carina da questo punto di vista è che le più moderne tecniche di classificazione diagnostica (come il DSM IV ad es.) utilizzano prevalentemente questa modalità per quanto riguarda i disturbi psichici ed in effetti è utile che sia così, trattandosi di un campo dove l’etiopatogenesi in molti casi è quanto meno opinabile …
Un livello di conoscenza più approfondito è la “diagnosi etiolologica”, che di solito è possibile solo intuire o sospettare in base all’esame clinico, ma può essere convalidata  (oltre che dai dati in anamnesi) anche da specifiche indagini strumentali: posso avere, ad esempio, un ritardo mentale legato ad una atrofia cerebrale, esito di una sofferenza asfittica alla nascita: va detto che in un caso come questo e molti altri, l’enunciazione del fattore etiologico non rappresenta da sé una diagnosi, dato che quel tipo di atrofia può essere presente in vari tipi di disturbi (epilessie, paralisi, etc.) ed, in alcuni casi, non essere neanche collegata a sintomi clinici. Comunque l’individuazione della/e causa/e più probabile/i di una patologia è un  passo avanti nella conoscenza ed inizia a fornirci alcuni elementi di previsione sulla possibile evoluzione del disturbo.
Ma infine: a cosa serve la diagnosi? L’utilità della diagnosi è legata alla possibilità di una previsione prognostica che ci consenta di prefigurare l’evoluzione e l’esito della patologia in atto, calibrando in rapporto a questo risorse, strumenti e percorsi terapeutici. L’ultimo livello diagnostico è quindi la “diagnosi completa” che consente la conoscenza della natura e del decorso della malattia. Se diciamo, per esempio “sindrome di Down” abbiamo la sensazione di avere enunciato una etiologia, un quadro clinico ed una prognosi.
Ecco forse l’errore sta proprio in questo, perché in realtà quando diciamo “sindrome di down” non abbiamo ancora detto nulla di più preciso e dettagliato di ciò avremmo detto enunciando “normalità clinica” perché di Down non ce ne sono due che siano uguali, come tra i sani ed è così per molte altre malattie e disturbi che possono comportare diverso livello di gravità dei sintomi e delle compromissioni funzionali.
L’approccio, diciamo così, fenomenologico, sembra ancora oggi il più corretto sul piano scientifico ed il livello della compromissione funzionale è un dato abbastanza oggettivabile e standardizzabile.
L’esigenza sembra infatti legata alla standardizzazione del processo diagnostico ed alla condivisione reale dei significati.

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