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Il ritorno alla terra: il ruolo delle donne

Il prossimo 1° Aprile, al Palazzo dell'Agricoltura in via XX Settembre a Roma, si svolgerà un evento dal titolo: "Donne ed agricoltura: un connubio di qualità".
L'incontro, organizzato presso la sala Cavour del Ministero delle politiche agricole, consisterà in un seminario nel corso del quale dovrebbero essere analizzati i cambiamenti avvenuti nel settore della  economia agricola, con particolare riguardo alla presenza ed al ruolo del lavoro femminile, raffrontando questa evoluzione con la tendenza delle politiche comunitarie orientate ad una produzione valida nei suoi aspetti qualitativi.

La notizia viene passata dal sito ISTAT in quanto rappresenta una delle iniziative derivanti dalla collaborazione tra l'istituto di statistica ed il MiPAAF (Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali).

La cosa ha destato la mia curiosità per quella espressione di "ottica di genere" contenuta nella presentazione che l'ISTAT fa dell'evento: la cultura contadina è stata ed in parte continua ancora ad essere la culla della concezione di famiglia patriarcale, allargata, dove i figli maschi sono braccia per la terra e le femmine debiti per la dote da pagare allo sposo al momento del matrimonio, quella dove la sposa entrava nella famiglia del marito, dovendo adeguarsi alle regole di quella casa ed occupare l'ultimo gradino della scala gerarchica familiare, normalmente fondata sul genere di appartenenza e sulla anzianità, quella dove: "'a fatica d'a femmena s'a mangiaie 'o ciuccio" (il lavoro della donna l'ha mangiato l'asino).
Una cultura, quella contadina, che almeno in passato è stata certamente sessista e poco incline alla generosità con il genere femminile, per lo più subalterno e sfruttato.
Dopo i fenomeni di urbanizzazione di massa, il ritorno alla terra ha visto, negli anni sessanta, la nascita delle famose comuni agricole, molte delle quali miseramente fallite, non solo perché il lavoro della terra è un lavoro duro al quale i figli della borghesia cittadina benestante non erano certo preparati, ma anche perché il comportamento libero delle donne all'interno di una comune agricola (che di fatto è un gruppo chiuso, isolato in mezzo alle campagne) può generare lotte fratricide, in quanto la struttura del gruppo per la sua collocazione logistica costringe tutti i membri a conservare fra loro contatti e rapporti anche in presenza di situazioni intensamente conflittuali.
Oggi la coltivazione della terra e l'allevamento del bestiame hanno assunto caratteristiche per certi aspetti simili a quelle della produzione industriale, benché sopravvivano anche i piccoli coltivatori: quando la distribuzione del lavoro esula dalla cerchia familiare, normalmente è (o dovrebbe essere)  regolamentato da contratti e norme riconosciute a livello nazionale ed il lavoro femminile dovrebbe essere remunerato al pari di quello maschile, ma questo già sappiamo che in realtà non avviene da nessuna parte e tanto meno possiamo presumere succeda nelle campagne.
Nell'attuale congiuntura di crisi economica l'idea del ritorno alla terra ha ripreso ad esercitare un certo fascino ed a richiamare anche le giovani generazioni: il made in Italy nel settore agroalimentare è apprezzato in tutto il mondo e rimane un elemento  trainante della economia nazionale. Ovvio che la qualità costi, ma rende anche una differenza non solo nel gusto, ma soprattutto nel valore nutrizionale degli alimenti: le donne, nutrici per antonomasia, questo lo sanno bene.



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