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Lo spettro autistico: cosa cambia per i genitori

L'introduzione del DSM 5 si propone probabilmente di semplificare e rendere più appropriate le categorie diagnostiche in uso nella patologia psichiatrica. Oggi vorrei soffermarmi sul cosiddetto disturbo dello spettro autistico: prima della introduzione di questo nuovo concetto, il DSM IV classificava i disturbi generalizzati dello sviluppo in:


  • disturbo autistico
  • disturbo di Rett
  • disturbo disintegrativo della fanciullezza
  • disturbo di Asperger
  • disturbo generalizzato di sviluppo non altrimenti specificato 
Attualmente nel DSM 5 le ultime quattro categorie sono soppiantate dalla dizione:
  • disturbi dello spettro dell'autismo e le caratteristiche del quadro clinico, che può essere effettivamente molto differente a seconda dei casi, emergono sia dalla definizione del livello di gravità, valutata sulla base della entità della compromissione comunicativa e sociale, nonché sulla presenza, intensità e persistenza di comportamenti ristretti e ripetitivi e sia dalla presenza o meno di alterazioni della strutturazione cognitiva e dello sviluppo del linguaggio.
La presenza di un'unica categoria effettivamente da un lato semplifica la classificazione, ma dall'altro raccoglie in un unico contenitore una varietà di disturbi realmente differenti, tanto sotto l'aspetto clinico che prognostico. Questo in sé potrebbe non essere un danno particolarmente grave, infatti avviene lo stesso per le cosiddette Paralisi Cerebrali Infantili che includono condizioni di pressoché totale decerebrazione accanto a condizioni espresse in un modesto danno neuromotorio con conservazione del normale sviluppo cognitivo.
La difficoltà, se vogliamo, potrebbe risiedere nella comunicazione della diagnosi specialmente laddove ci troviamo di fronte a situazioni con elevato funzionamento intellettivo e capacità comunicative relativamente ben conservate.
Le parole autismo ed autistico sono collegate nell'immaginario comune a fantasmi di gravità ed irrecuperabilità e, mi si perdoni la battuta, non è neanche facile scacciare i fantasmi con gli spettri.

Nella vecchia classificazione la diagnosi di autismo poteva essere posta solo laddove il disturbo dello sviluppo aveva comportato una disorganizzazione così profonda da compromettere anche la strutturazione cognitiva e le abilità comunicative del bambino, forse per analogia con quanto avviene negli adulti dove i disturbi di area propriamente psicotica sono quelli che possono innescare anche una progressiva destrutturazione delle funzioni cognitive.
In effetti nel corso delle prime fasi dello sviluppo gli ambiti motorio, emozionale e cognitivo non sono ancora così chiaramente differenziati come nell'adulto e, benché anche nell'adulto il disturbo di una delle aree comporti costantemente ricadute in tutti i settori, il coinvolgimento della totalità dello sviluppo è di solito molto più evidente  ed esteso quando ci si riferisce ad un soggetto in età infantile, quel magma ancora confuso e totipotente che costituisce il nucleo vitale dell'individuo.

Attualmente quindi un genitore che si sente fare la diagnosi di disturbo dello spettro autistico è bene che prima di fasciarsi la testa,  chieda  delucidazioni. Chi pone la diagnosi deve precisare il livello di funzionamento intellettivo e la gravità della sintomatologia specifica.

Come quando si fa una diagnosi di PCI va dettagliato il quadro clinico, perché fa notevole differenza dire PCI con lieve emiparesi sinistra e normodotazione intellettiva, piuttosto che PCI con grave tetraparesi, epilessia, deficit visivo e ritardo mentale grave, allo stesso modo farà una notevole differenza dire disturbo dello spettro autistico ad elevato funzionamento e sufficienti abilità comunicative verbali, rispetto a disturbo dello spettro autistico con grave compromissione cognitiva ed assenza di linguaggio. 

La sensazione è che la tendenza attuale della cultura medica sia verso una impostazione per così dire estensiva della diagnosi di autismo, impostazione che riconosce i suoi fondamenti teorici nella ricerca di una radice comune ad una gamma di disturbi della sfera emozionale capaci di compromettere il funzionamento sociale e la comunicazione durante le prime fasi dello sviluppo ed i suoi fondamenti pratici nel proliferare di numerosi gruppi di studio, ricerca e trattamento specializzati in questo tipo di problematiche.


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