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Tasse alle stelle per i fuori corso: pagano i "poveri sfigati"

I poveri sfigati di turno sarebbero i fuori corso universitari: del problema si parla ormai già da qualche tempo e si tratta del criterio che verrà utilizzato per riconoscere i finanziamenti pubblici agli istituti  universitari. In pratica verranno penalizzati gli atenei che hanno il numero più elevato di studenti fuori corso, in quanto i finanziamenti verranno concessi tenendo esclusivamente conto del numero di studenti in corso. Chi tarda a prendersi la laurea diventerà pura zavorra, un "povero sfigato" come due anni addietro fu definito dall'allora vice ministro del lavoro, Martone, che stigmatizzava in questo modo gli studenti ritardatari, subito prima di bastonarli, ovvero di dare il via libera al decreto che consentì agli istituti universitari di aumentare le tasse per gli studenti in ritardo col calendario di esami.

Un articolo della Stampa dello scorso settembre dava notizia della bozza di decreto del Miur, secondo il quale era prevista una ripartizione di finanziamenti pubblici agli atenei in ragione del numero di iscritti in corso, con un costo standard per ciascuno di essi: superato quel costo per la durata del corso di studi, lo stato non paga più nulla per quello studente, ovvero l'università non può più far rientrare quello studente nel computo degli iscritti per l'ottenimento dei finanziamenti in base al numero di iscrizioni.


Ora la bozza è passata e quindi ben presto l'università non riceverà più  finanziamenti per questi studenti: l'argomento è stato quindi ripreso da L'espresso in un editoriale abbastanza dettagliato che soprattutto si interroga sulle conseguenze di questa risoluzione normativa.
I dati disponibili sui fuori corso in Italia sono quelli aggiornati all'anno accademico 2012/13 quando se ne contavano 700.000, con le percentuali più elevate negli atenei più grandi ed importanti.

Proviamo ora a valutare i termini del problema: ogni medaglia ha il suo rovescio e la sensazione è che questo possa rivelarsi una chiave di lettura utile anche in questo caso.
Resta da chiarire il problema degli studenti lavoratori, che essendo impegnati prevalentemente in altre attività, finiscono gioco forza fuori corso, anche se per loro è sempre possibile ipotizzare la formula di studente part time, ovvero con raddoppio degli anni di corso e parallelo dimezzamento quindi di esami, corsi di frequenza e... tasse. La soluzione dello studente part time tuttavia non è stata salutata con favore da tutte le università.

Il governo verosimilmente ha emanato questa normativa per ridurre la spesa e tuttavia un aspetto positivo della cosa esiste: il fatto è che fino ad oggi l'insuccesso scolastico di uno studente in una scuola pubblica era esclusivamente e senza appello, un problema dello studente.
Era lo studente ad essere lo sfaticato, somaro e problematico, né mai alcun docente o rettore d'Istituto aveva mai provato seriamente a mettere in discussione l'efficacia delle tecniche e metodologie di insegnamento e/o di valutazione.
Se in un corso di matematica composto da 30 studenti a fine corso ne venivano bocciati 25, il problema era comunque degli studenti: la positività di questa normativa sta nel fatto che il successo dello studente diventa il successo della scuola, stabilendo così i fondamenti per un rapporto di alleanza nel trasmettere ed imparare, laddove fino ad oggi era sussistito soprattutto invece l'aspetto conflittuale e gerarchico insito nel potere valutativo.
Il fatto è che gli insegnanti hanno il potere di valutare, ma anche il compito di insegnare efficacemente, adeguando le metodologie, coinvolgendo ed avvincendo alla materia gli allievi: questo aspetto purtroppo viene talvolta dimenticato, i 5 promossi del corso di matematica, diciamo la verità, sarebbero stati promossi anche senza bisogno di lezioni perché appassionati di per sé ed autonomi nell'organizzare lo studio della materia. Chi può negarlo?
Vedere i docenti alleati con i loro allievi nel conseguire il successo negli studi non sarà affatto negativo: se uno studente non ha capito qualcosa non sarà solo un problema dello studente e questo è un bene.

Va detto che ogni buon insegnante normalmente e da sempre (a prescindere dalle leggi) si occupa dei propri alunni nel senso di cercare le strategie migliori per trasmettere delle conoscenze, è invece il cattivo insegnante quello che non lo fa, ma si limita a gratificarsi della sua posizione di potere al momento della valutazione: tuttavia non c'è da sperare che i cattivi insegnanti diventino buoni come per miracolo, perché la legge penalizza l'istituto che non prepara adeguatamente gli allievi, i cattivi insegnanti invece potrebbero essere portati a diventare più larghi di manica ed i dirigenti degli istituti potrebbero essere portati ad appesantire oltremodo la tassazione dei fuori corso, per recuperare ciò che lo stato non paga più per loro.
Questo è ovviamente l'aspetto negativo della legge, che avendo fondamentalmente lo scopo di risparmiare sui finanziamenti alle scuole ed alle università, funziona un pò come un letto di Procuste, senza tenere conto della enorme diversificazione che può esistere fra i vari tipi di studenti fuori corso.
Vi saranno anche somari sfaticati e sfigati (quelli sono presenti, d'altro canto, in numerose categorie professionali e di lavoratori, non solo fra gli studenti) ma vi saranno gli studenti lavoratori, quelli che sono costretti per diversi motivi ad interrompere gli studi per periodi di tempo più i meno lunghi, ma non intendono rinunciare agli studi, quelli che si sono trasferiti fuori sede ed impiegano il primo anno solo per adattarsi senza l'accudimento familiare, quelli che hanno cattivi insegnanti o strutture universitarie dispersive e poco organizzate sul piano didattico ed amministrativo, sicché finiscono per non capirci più nulla e perdersi...




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